Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo è un’opera importantissima che rappresenta le rivendicazioni dei diritti dei lavoratori nella fine dell’Ottocento.
Un lavoro mastodontico , non solo per dimensioni, ma soprattutto per la varietà di temi trattati. Perché l’arte ha, nonostante tutto, il compito di educare ed emozionare, creando un punto di vista nuovo e ancora inesplorato.
Bando alle ciance e iniziamo ad addentrarci nel mastodontico e malinconico mondo di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
Nel 1921 (anno in cui vengono fondati ben 8 musei, tra cui la bellissima GAM di Milano), l’opera di Pellizza, diventa di proprietà del Comune di Milano tramite sottoscrizione pubblica.
Viene acquistata per essere collocata nelle sale di palazzo Marino, dalle quali verrà ben presto e ferocemente ritirato con l’affermarsi del regime fascista. La mastodontica opera viene consegnata alle civiche raccolte per poi essere riconsegnata alle collezioni della Villa reale in via Palestro. Un infinito, spossante, sconquassamento, ma alla fine “Il quarto Stato” ha trovato pace.
L’opera, comprata dai cittadini milanesi nel 1921, nascosta dai fascisti e riportata trionfalmente alla luce nel 1945, trova pace.
Ma non subito.
Dovremo aspettare il 2008 quando si dirà costituita la prima sala del Museo del 900 e solo dopo svariate peripezie e battibecchi si deciderà di posizionarla, solitaria, nella prima sala del Museo del Novecento dove può essere liberamente fruibile senza l’acquisto del biglietto.
D’altronde è di proprietà dei cittadini.
Pellizza da Volpedo posizionò il generale Giuseppe Garibaldi in questa immensa tela, ma non è nessuna delle possenti figure centrali come, sovente, si crede.
Il patriota dal ritratto idealizzato si trova, bensì, in un angolo della tela, ammassato tra gli altri copri che avanzano dignitosamente.
Giuseppe Pellizza da Volpedo non nascose mai le sue simpatie anarchiche e partecipava idealmente alle lotte operaie e, come in questo caso, si comportava da vero cronista creando degli schizzi di ciò che vedeva e voleva raccontare. Nonostante la famiglia fosse di piccoli proprietari terrerieri, l’artista aderì fin da subito alle idee socialiste e garibaldine.
A differenza del contemporaneo divisionista e simbolista Giovanni Segantini, i temi sociali e le denunce politiche erano spesso il fulcro dei lavori di Pellizza che affermava ferocemente che l’artista doveva prendere una posizione all’interno del dibattito della società civile.
Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo è un’opera grandissima, non solo nel senso fisico, ma anche concettuale perchè oltre alla rappresentazione delle rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento sono rappresentati temi più sottili come le tre età dell’uomo.
In primissimo piano, infatti, l’artista rappresenta un uomo anziano, uno nel mezzo del suo cammino e uno giovanissimo sorretto dalle braccia forti della madre. Una madre, questa, senza dubbi, fiera, potente e al tempo stesso meravigliosamente drammatica.
La figura femminile, probabilmente la moglie della stesso artista, é una delle immagini di donna più belle della storia sociale dell’arte. Una donna centrale che rivendica un diritto, centrale si, ma costretta a soccombere a quella retorica tipicamente maschile che mette l’uomo al centro della storia. Serviva un piedistallo per “la giovinezza”, e chi meglio di una madre?
Il bimbo ignudo, bellissimo, è avvolto da un leggero fascio di luce che colpisce in viso la madre, la quale socchiude leggermente gli occhi
A destra del personaggio centrale è rappresentato un altro uomo, chiaramente connotato dal punto di vista dell’abbigliamento come appartenente a una precisa classe sociale. È una persona umile, che per il modo in cui è vestito con una camicia consunta, i pantaloni di tela grezza, la giacca sulla spalla e cappello sformato si colloca come non appartenente a una classe agiata.
Il personaggio centrale è piu fiero e giovane del precedente con la camicia rimboccata, che per il caldo si porta la giacca in modo sciolto sulla spalla. Questo uomo è il ritratto un vero individuo che il pittore utilizza anche per rappresentare come figura simbolica.
Camminano tutti e tre. Tutti incedono determinati e fieri in avanti, verso il pubblico portando avanti delle segrete conversazioni.
Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo ha una storia sfigata, cosi come quella dello stesso artista.
Giuseppe termina il quadro nel 1901, dopo molteplici studi e lo espone nel 1902 a Torino. La critica lo ignorò completamente e non c’è cosa peggiore per un’artista che l’indifferenza. Non amore viscerale o aspra critica e odio, ma fredda insensibilità.
Nel 1904 l’artista invia il quadro a Roma per la Quadriennale, ma anche qui nessuno se ne interessò. Ritenta due anni dopo, nel 1906 in occasione dell’esposizione per il traforo del Sempione e qui venne rifiutato perchè troppo triste per un’evento del genere.
Incompreso, frustrato, non amato, ma nemmeno odiato, Pellizza muore suicida il 14 giugno 1907.
Pellizza, nato nel 1968, si suicida per difficoltà a far comprendere e passare un arte di così grande spessore e dimensione su un mercato che non le privilegiava.
Il capolavoro dell’incompreso artista si trova ora a Firenze a Palazzo Vecchio, per i prossimi due mesi. Anche qui visitabile gratuitamente.
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